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domenica 4 maggio 2008

"La cosa più importante è adesso dimostrare che si tratta di un uomo"

Le parole di Rudolf Meyer, che è il difensore di Joseph Fritzl - l'austriaco che ha avuto sette figli dall'incesto con la figlia Elizabeth, tenuta segregata in cantina per quasi un quarto di secolo assieme alla crescente famiglia - suonano come una sorta di conferma di come la letteratura e la filosofia possano anticipare, forse comprendere, il Male.
A sentire queste parole viene da pensare ad un uso strumentale del concetto di "banalità del male", che è stato uno degli artifici interpretativi di Hannah Arendt per avvicinare e comprendere lo sterminio di massa degli Ebrei nella Seconda Guerra Mondiale e le torture sistematiche dentro i campi di concentramento - e per comprendere le reazioni a processo degli ufficiali che avevano perpetrato quel male.
Ma ancor più viene da pensare al caso Moosburger raccontato da Robert Musil nella prima parte de L'uomo senza qualità: non si comprende la ferocia con cui l'imputato accoltella le sue vittime, ma nemmeno quella che dimostra nei confronti di sé stesso durante gli interrogatori e le deposizioni - anzi pare che ve ne sia più in questi ultimi casi, che non durante gli omicidi.
Il romanziere indaga i pensieri del protagonista e quelli dell'opinione pubblica austriaca "imperial-regia" di Kakania, e quando torna a parlare di Moosburger descrivendo anche le reazioni di una amante del protagonista, Bonadea, pure in questa occasione mostra l'insensatezza del processo, la strampalata e tragica difesa di un'idea di colpevolezza fatta dall'imputato stesso per sé medesimo, l'inutilità del patibolo perchè inadeguato a colpire quel male.
Fritzl pare ancor più banale di Moosburger, meno cupamente fiero - tanto più crudele.
Eppure la letteratura e la filosofia riescono a dare il segno di come non sia - seguendo Goethe - il colore nero a tingere l'oscurità, quanto la mancanza di luce.

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